Cos’è il neuromarketing? La miglior definizione di questo insieme di metodologie e tecnologie di ricerca può essere espressa con le parole di Ale Smidts, a cui viene attribuita la coniazione della parola neuromarketing ormai 20 anni fa. Il prof. Smidts la definisce come: “L’insieme delle tecniche di identificazione dei meccanismi cerebrali orientate a una maggiore comprensione del comportamento del consumatore per l’elaborazione di più efficaci strategie di marketing”.
In parole più povere, il neuromarketing può aiutare ad analizzare perché i consumatori si comportano in un certo modo quando sono posti davanti ad una scelta nel momento in cui acquistano qualcosa online, davanti allo scaffale di un supermercato o quando esposti alla visione di una pubblicità.
Il motivo dietro il costante aumento di utilizzo di tali tecniche ha una ragione fondamentale: l’incapacità delle tecniche di ricerca di marketing tradizionali quali interviste, questionari e focus group, di scavare nel profondo alla ricerca dei bisogni e delle motivazioni più inconsce per cui facciamo le scelte che facciamo. Attingere a questa conoscenza ulteriore può permettere alle aziende di comprendere quali messaggi risuonano davvero nella mente del cliente, migliorare la fase di prototipizzazione del prodotto e anche catturare insight sempre più raffinati e nascosti dal consumatore. Se le imprese capitalizzano sui benefici scaturiti dall’utilizzo di neuromarketing, riusciranno anche a guadagnare o a rafforzare il loro vantaggio competitivo sui competitor.
Lo studio svolto ha come focus comprendere in modo quantitativo come la nostra mente processa le informazioni e misurare la risposta del campione quando posto davanti a una scelta. In particolare, lo studio si concentra sul capire come i bias cognitivi, ovvero l’insieme delle distorsioni cognitive che inducono le persone a prendere decisioni che sono considerate irrazionali, influenzino queste scelte decisionali.
Il nostro campione di 202 rispondenti è così composto:
95 uomini e 107 donne.
Un’età media pari a 37 anni e una moda pari a 24 anni Inoltre, questa variabile è stata ricategorizzata con l’intento di indicare la generazione di appartenenza e, così, beneficiare di una maggiore potenza statistica per le analisi svolte in seguito.
In conclusione, è stato inoltre chiesto il livello di istruzione dei rispondenti. Il 55% dei rispondenti abbia un titolo universitario.
All’interno dello studio è stato chiesto ai rispondenti a che prezzo sarebbero stati disposti ad acquistare il biglietto per partecipare due lotterie differenti. Nella prima, quella meno rischiosa e il cui esito è più facile da calcolare, viene esplicitato il montepremi e il numero di biglietti in circolazione, nella seconda invece viene esplicitato il montepremi e la probabilità di vittoria della lotteria. Nonostante il livello di rischiosità differente entrambe hanno un esito atteso intorno a 8 euro. L’obiettivo dei quesiti è comprendere a che prezzo sarebbero disposti ad acquistare i biglietti in ciascuna lotteria, in che modo cambia tra una lotteria e l’altra e se certi gruppi di individui si comportano in modo diverso dagli altri.
Prima di guardare ai risultati è doveroso fare una piccola digressione sulla prospect theory, ovvero la teoria formulata da Kahneman e Tversky nel 1979 che fornisce un modello teorico relativo ai processi decisionali che inducono le persone a prendere decisioni sub-ottimali rispetto a una decisione perfettamente razionale.
La teoria si poggia su due funzioni fondamentali:
La funzione di valore, quindi come l’utilità venga percepita rispetto a un guadagno o una perdita potenziale. È rilevante notare che la curva ha una maggior pendenza nel quadrante delle perdite rispetto a quello dei guadagni, quindi in termini di valore percepito, è più forte il “dolore” di una perdita che una speculare “gioia” da una vincita, e che la funzione è concava per i guadagni e convessa per le perdite; quindi, l’utilità e la disutilità sono marginalmente decrescenti
La funzione di probabilità, secondo cui gli esiti poco probabili sono sopravvalutati rispetto alla certezza che non si verifichino e viceversa per gli esiti più probabili.
Venendo ai risultati della prima lotteria, i rispondenti sarebbero disposti a pagare in media €4,31 per parteciparvi, con una moda di €5 (21% del campione). La deviazione standard è alta in quanto la distribuzione dei valori risulta molto disomogenea come riportato in figura. Inoltre la larga parte dei rispondenti sarebbe disposta a pagare una cifra pari o inferiore al valore atteso, rappresentata dalla linea rossa tratteggiata.
Per quanto riguarda invece la seconda lotteria, il prezzo medio che i partecipanti sono disposti a pagare è €3,87 e una moda di 1€. La deviazione standard risulta essere anch’essa elevata e la forma della distribuzione risulta essere più asimmetrica verso destra. Come facilmente deducibile dal grafico, anche in questo caso la larga maggioranza, pari al 90,6% del campione, non è disposta a pagare il biglietto più del suo valore atteso.
Quanto teorizzato da Kahneman e Tversky trova riscontro nei risultati della ricerca, in quanto la stragrande maggioranza dei partecipanti dichiara di comprare il biglietto solo se il prezzo risulti ben al di sotto del valore atteso, specialmente nella prima lotteria in linea con quanto menzionato prima secondo la funzione del valore. Tuttavia la funzione di probabilità mostrata precedentemente potrebbe giustificare il fenomeno per cui nella seconda lotteria, la percentuale di persone disposte a pagare più di €8 sia lievemente superiore di quella della prima lotteria, in quanto alcuni individui nel campione, anche a fronte di un rischio maggiore, sono disposti a spendere di più poichè, a livello di percezione, sovrastimano le loro chance di vittoria.
Passando invece alle analisi bivariate, in cui si sono incrociati i risultati delle lotterie con le caratteristiche descrittive del campione, non vi è evidenza che vi sia una relazione tra il prezzo a cui si è disposti a pagare il biglietto e il livello di studi, mentre risulta esserci una differenza significativa con la variabile “generazione di appartenenza” e “genere”. In particolare per il genere, se si svolge il test di confronto tra le medie per determinare se sia possibile rifiutare l’ipotesi nulla, riusciamo a definire significativa statisticamente solo la differenza di genere nella lotteria 1, mentre nella lotteria 2, nonostante vi sia una apparente differenza, non vi è sufficiente evidenza per poter fare un’affermazione simile. Questo contrasta con l’ipotesi secondo cui la causa della differenza sia la maggiore propensione al rischio media degli uomini in quanto, all’aumentare del rischio nella seconda lotteria, ci si aspetterebbe che il divario di genere aumenti e il test risulti più significativo.
Infine, sono state svolte le analisi della varianza, con l’intento di valutare quale sia l’impatto delle variabili indipendenti. In particolare, il caso in cui si hanno come variabili indipendenti il titolo di studio e il genere risulta particolarmente interessante:
Come si può notare dal grafico, indipendentemente dal titolo di studio, gli uomini hanno una propensione a pagare il biglietto molto simile (5,33 uomini senza studi universitari vs 4,73 uomini con studi universitari), mentre la stessa affermazione non può essere riproposta sul lato femminile. Infatti, le donne con un livello di istruzione universitario hanno una disponibilità che si avvicina molto a quella della propria controparte maschile, mentre vi è una differenza molto marcata con la controparte femminile che tuttavia non ha svolto studi universitari (4,50 vs 2,89). Infine, all’interno di chi non ha studi universitari, la variabile genere sembrerebbe risultare decisamente rilevante nella willingness to pay in quanto gli uomini senza educazione universitaria pagherebbero l’85% in più delle donne senza titolo universitario (5,33 vs 2,89). Questo fenomeno di genere, come accennato prima, non avviene invece negli individui con istruzione più alta.
Le implicazioni manageriali che si possono trarre dai risultati della lotteria sono varie ed applicabili a diversi settori: per esempio, dato che in media gli individui attribuiscono più valore ad eventi in cui la ricompensa è contenuta, ma più certa, dovrebbero essere incentivate tipologie di promozioni che rispettino tale criterio. Un esempio classico sono i loyalty program delle aziende, come quello proposto tramite l’iniziativa Happy da Vodafone in cui, a fronte di un certo numero di punti accumulati nel tempo, posso redimere uno sconto o partecipare a lotterie per vincere auto, gadget high tech e altro. In prima persona ho avuto modo di constatare che, nel complesso, i prodotti preferiti dai consumatori dell’azienda di telecomunicazioni erano le ricariche da €5 o i coupon per aziende affiliate al programma per la ragione appena discussa.
Tuttavia nella tesi si è anche constatato che non tutti i gruppi attribuiscono valore allo stesso modo. Ad esempio gli appartenenti alla generazione Z uomini, che sono risultati come quelli con la willingness to pay e con tolleranza al rischio più alta e quindi percepiscono diversamente il valore di un offerta rispetto ad altri gruppi di consumatori. Ipotizzando ad esempio di essere una piattaforma di trading online, potrei incentivare la sottoscrizione alla piattaforma a tale target comunicando che, una volta iscritti, hanno una chance di ricevere un azione/criptovaluta di un alto valore come riportato in figura.
Tuttavia, tale tipo di comunicazione non avrebbe gli stessi esiti sperati in un pubblico femminile o più anziano, a cui però si potrebbe enfatizzare un messaggio legato la risparmio certo sulle commissioni per operazioni finanziarie oppure veicolare contenuti che enfatizzino la bassa volatilità e la sicurezza di certi strumenti finanziari.
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