I beni di largo consumo o Fast Moving Consumer Goods (FMCG) sono una parte fondamentale della nostra vita quotidiana, spesso senza che nemmeno ci si accorga di quanto essi siano rilevanti, su tutti: i prodotti alimentari, specialmente quelli confezionati.
Come tipico delle industrie così dinamiche, i dati di mercato (Euromonitor, 2021) suggeriscono come la crescita costante sia guidata dalla frequente innovazione, non solo del portafoglio prodotti, ma anche all’offerta di servizi aggiuntivi (es.: differenti canali d’acquisto, requisiti di sostenibilità, ecc.).
Proprio per questa ragione, la ricerca sul consumatore per comprendere tali comportamenti e motivazioni è divenuta un elemento cardine su cui le aziende stanno sempre più intensificando i propri sforzi e risorse per vincere in uno scenario sempre più competitivo, in modo da offrire prodotti e servizi allineati con le priorità del consumatore finale.
Questa ricerca sostiene un nuovo punto di vista a favore dell’utilizzo di metodologie d’analisi alternative alla conjoint analysis, proponendo per la prima volta il confronto della celeberrima Conjoint Value Analysis (CVA) con il Maximum Difference Scaling (MaxDiff.), una tecnica avanguardistica i cui potenziali benefici teorici sono stati testati empiricamente solo in poche occasioni e mai nel largo consumo o in modo comparato con la conjoint.
Disegno di ricerca – Per offrire questo contributo, è stato svolto un esperimento di confronto delle due tecniche all’interno del mercato italiano del chocolate confectionery.
Per testare queste assunzioni, sono state condotte due distinte analisi: la prima di natura qualitativa ed esplorativa (7 interviste, 1 focus group, 1 protocol analysis) volta alla stesura della seconda, composta da due sondaggi quantitativi realizzati tramite le piattaforme Qualtrics e Lighthouse Studio, somministrati ad un totale di 654 individui rispondenti (con 465 interviste valide), divisi in due campioni omogenei ed indipendenti per mettere in luce quale tra le due tecniche meglio rappresenti il processo cognitivo del consumatore.
Coefficienti d’importanza – In particolare, per il campione CVA gli attributi risultati di maggiore importanza sono stati: Notorietà di marca (26,61%), Certificazioni di sostenibilità (26,51%), Ingredienti contenuti (18,51%). Per il campione MaxDiff.: Ingredienti contenuti (20,06%), Notorietà di marca (19,27%), Prezzo (15,68%).
Tabella 1 – Coefficienti d’importanza derivanti da CVA e MaxDiff.
Da ciò, si può desumere una tendenza generale a prediligere brand noti e caratteristiche attinenti alle sfere della salute e della qualità che un profilo d’offerta possiede (e rende visibili); per esempio, un ridotto contenuto calorico o certificazioni di sostenibilità, che la letteratura dimostra essere implicitamente associata ad una migliore fattura del prodotto.
Nonostante ciò, occorre domandarsi quale sia la spiegazione cognitiva che ha portato le due tecniche a generare differenziali così accentuati nella valutazione degli attributi Prezzo e Sostenibilità, individuando anche una soluzione strategica per mitigare tale effetto in fase di ricerca e proporre interventi attinenti alla disciplina del marketing capaci di rispondere alla manifestazione pragmatica di tali esigenze del consumatore.
Questa differenza può essere ricondotta al fatto che esiste una cosiddetta ‘variabilità non osservata’ riscontrabile in numerose ricerche empiriche, nelle quali è dimostrato essere improbabile che le varianze di importanza tra i componenti non dipendano dai fattori contestuali all’esperimento, come per esempio il luogo, il periodo di tempo o – come in questo caso – il task e lo stimolo somministrati.
Per esempio, se il colore di un pack fosse una caratteristica rilevante, ma non fossero noti i colori a cui pensano gli individui quando viene chiesto loro quanto questo sia importante, la distribuzione dell'importanza risulterebbe condizionata dalla distribuzione dell'ambiguità/incertezza sui colori usati come riferimento implicito dagli intervistati (così come avviene in questo specifico studio di MaxDiff. rispetto alla caratteristica ‘Sostenibilità’ o ‘Prezzo’).
Ad opinione dell’autore, questo fenomeno è facilmente mitigabile, predisponendo una presentazione specifica di ciascun item dei task di MaxDiff. in modo da sfruttarne tutti i benefici, senza lederne l’affidabilità.
Implicazioni manageriali –Si può affermare che sul totale campionario entrambe le tecniche risultano adeguate a captare quanto definito a livello macroeconomico dagli esperti come di maggiore rilevanza, ovvero la qualità dei prodotti e la notorietà di marca, suggerendo quindi chiaramente una strategia di ottimizzazione delle decisioni relative agli investimenti e al design di prodotto. A livello manageriale, è quindi consigliato semplificare e concentrare la distribuzione degli investimenti di marketing. Infatti, in entrambi i questionari circa il 40% dell’importanza totale è stata attribuita alla notorietà della marca e alla formulazione degli ingredienti.
In questa prospettiva, i trend osservati raccomandano l’utilizzo di due leve comunicative estremamente efficaci nella diffusione di queste caratteristiche:
Le campagne pubblicitarie: rispetto all’importanza attribuita alla notorietà della marca, mantenere un forte grado di brand awareness è cruciale per ritagliarsi una quota di mercato rilevante in questo settore.
Il packaging: aldilà della sua attrattività estetica, la confezione è fondamentale per riportare le informazioni di maggior interesse per il consumatore. A prova di ciò, in presenza delle informazioni dettagliate di questo tipo fornite nell’esercizio di conjoint classica, il valore monetario del prodotto è stato messo in secondo piano. Il suggerimento manageriale che ne deriva è quindi quello di incrementare e valorizzare gli investimenti fatti in questi ambiti.
Al contrario, le leve di prezzo e promozione perdono notevolmente di importanza quando esplicitate, poiché la percezione di risparmio risulta piuttosto limitata e conseguentemente poco impattante sulla gestione della disponibilità economica del consumatore.
Si ipotizza quindi che in presenza di un concept riportante entrambi gli elementi, i consumatori diano priorità alla qualità rispetto al prezzo.
Varianza – Tuttavia, nonostante entrambe le tecniche siano state capaci di individuare preferenze coerenti con i principali trend di mercato, è doveroso specificare che la letteratura è concorde nel definire le caratteristiche sociodemografiche come fattori di moderazione nelle preferenze dei consumatori.
Di conseguenza, per questa industria è raccomandabile preferire metodologie che colgano al meglio la varianza di risposta degli intervistati, in modo tale da poter predisporre procedure di segmentazione o split sociodemografiche più precise, dove ciascun gruppo sia costituito da individui che abbiano grande omogeneità interna ed alta respingenza esterna.
La tavola di confronto tra le deviazioni standard avvalora una superiorità netta del MaxDiff. nei confronti di CVA in questa istanza, generando una varianza maggiore in ben sei attributi su sette analizzati, confermando quanto ipotizzato e consentendo di discriminare più nettamente le preferenze espresse dai soggetti.
Tabella 2 – Variabilità delle risposte prodotta dai due metodi (MaxDiff. – CVA): analisi svolta sul totale campionario.
In aggiunta, per le finalità di segmentazione, l’autore sostiene che la tecnica di MaxDiff. sia più attendibile rispetto a CVA per due ulteriori motivazioni: in primo luogo, l’algoritmo CVA è in grado di estrarre i coefficienti di utilità individuale in maniera artificiosa, che sono quindi stimati e non dichiarati dagli intervistati; al contrario, il probability scale costruito tramite l’algoritmo HB nell’esercizio di MaxDiff. è fornito per ciascun individuo, consentendo una segmentazione che a livello logico è riconducibile al procedimento di analisi fattoriale, con il prezioso vantaggio di forzare un trade-off per gli intervistati.
Secondariamente, la soglia consigliata di sette attributi per volta in un esercizio di CVA rischia di diventare un problema critico e fortemente limitante per produrre una segmentazione soddisfacente anche in industrie relativamente semplici come quella del cioccolato.
Se si pensa poi a settori più complessi, ricondurre una segmentazione ad un numero così ridotto di attributi rischia di vanificare l’utilità dell’analisi e la trasferibilità dell’insight.
User Experience – In aggiunta, questa tesi indaga anche sulle preferenze dei partecipanti rispetto al metodo di intervista, riscontrando una preferenza verso l’esercizio di MaxDiff. in tutte e quattro le dimensioni testate – coinvolgimento, realismo, complessità, livello di attenzione – che ne favorisce una maggiore qualità delle informazioni ricavabili.
Tabella 3 – Valutazioni degli intervistati all’esperienza d’intervista: confronto tra campioni.
A fronte di questa interpretazione e dei risultati ottenuti, questo studio argomenta come il MaxDiff. sia più adeguato ad affrontare problemi di design di prodotto nel settore del chocolate confectionery, in quanto permette di presentare agli intervistati un maggior numero di attributi da valutare, genera maggiore varianza tra le risposte fornite (risultando preferibile per processi di segmentazione), è dichiaratamente preferito in termini di coinvolgimento, realismo, (minore) complessità ed attenzione, incorrendo anche in un minor tasso di abbandono da parte degli intervistati.
In forza a questo disegno di ricerca, la conoscenza incrementale generata a supporto della disciplina può ricapitolarsi nei seguenti punti, che portano a propendere per una predilezione del MaxDiff. rispetto a CVA:
Attendibilità dei risultati
Variabilità delle risposte
Numerosità degli attributi testabili
Percezione positiva del sondaggio
Minor tasso di abbandono
Tabella 4 – Durata (in secondi) e tasso d’abbandono dei due questionari.
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