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  • Immagine del redattoreDomenico Punelli

Quanto è importante l’economia della conoscenza all’interno delle aree urbane?

L’urbanizzazione è un fenomeno che riguarda la vita sul nostro pianeta in qualsiasi parte del mondo. Dalle moderne metropoli del vecchio mondo fino alle roboanti città asiatiche, nuove New York si presentano al mondo con tutta la loro innovazione tecnologica al servizio di molte persone concentrate in uno spazio limitato. In contemporanea, si è visto come l’innovazione e in generale la gestione della conoscenza possa essere fondamentale per il successo economico di uno stato, di una regione e anche di una singola città. Infatti, sebbene alcuni studi accademici fin dalla seconda metà dello scorso secolo hanno evidenziato il legame tra innovazione, imprenditorialità e crescita economica degli stati, queste dinamiche sembrano essere amplificate quando il campo di osservazione si restringe sulle diverse regioni.

In generale, il lavoro di ricercatori come Solow, Romer e Barrow è stato utilissimo nel dibattito sul ruolo dell’innovazione come spinta per la crescita economica, mentre Schumpeter ha identificato le nuove imprese come le vere protagoniste dello sviluppo, proponendo la definizione di creative distruction.

Ma che ruolo gioca l’innovazione rispetto alla condizione economica delle città? Soprattutto, quali sono i migliori predittori delle differenze economiche tra città e tra regioni diverse? Perché siamo abituati a considerare le città come luoghi all’avanguardia tecnologica rispetto alle aree rurali?

La ricerca di Domenico Punelli cerca di rispondere a queste domande attraverso la raccolta e lo studio di dati per capire meglio il fenomeno dell’economia della conoscenza all’interno delle metropoli. E' stato ristretto il campo focalizzando la ricerca solo sulle città Europee per raggiungere un maggior grado di uniformità dei dati.



In particolare, sono state scelte le città più performanti (PIL totale) nel 2018 e i dati sono stati raccolti utilizzando il database dell’OECD e dell’Eurostat. Come indicatori economici ho utilizzato il PIL pro capite e la produttività del lavoro, calcolata secondo l’OECD come il PIL totale diviso per la forza lavoro. Purtroppo, raccogliere i dati si è rivelato particolarmente difficile in alcuni casi ed è stato necessario restringere il campione a 14 città (Parigi, Madrid, Milano, Monaco di Baviera, Berlino, Amsterdam, Barcellona, Roma, Amburgo, Stoccarda, Francoforte, Stoccolma, Bruxelles, Vienna).

Gli anni di osservazione, invece, vanno dal 2004 al 2011. L’utilizzo di dati su più anni garantisce una descrizione più dettagliata dei fenomeni osservati e può rivelarsi un’ottima strategia per raccogliere più informazioni.

Una volta completato il database, sono state costruite le prime regressioni usando variabili relative all’imprenditorialità, all’innovazione e al capitale umano come esplicative e gli indicatori economici come variabili dipendenti. Le variabili poco significative sono state gradualmente eliminate e quelle che, considerate insieme, creavano dei problemi di multicollinearità sono state alternate nelle regressioni.

Infine, ho esaminato l’effetto del tempo utilizzando variabili X per spiegare quanto impattassero sugli indicatori economici di 3 anni dopo.



Una delle variabili più significative si è rilevata il numero le procedure per creare un’attività, che ha un effetto negativo sulla performance economica delle città. È interessante pensare come una decisione presa a livello nazionale possa avere un forte valore predittivo sul destino delle metropoli.

Viceversa, la percentuale di persone che hanno completato gli studi secondari ha un effetto positivo sul GDP e la produttività del lavoro, così come la percentuale di scienziati ed ingegneri sul totale di occupati e la percentuale di persone impiegate in settori ad alta intensità di conoscenza.

Contro le mie ipotesi iniziali, la percentuale di laureati non è significativa nello spiegare le differenze economiche tra città, ma la percentuale di persone che detengono un titolo in ambiti scientifici sembra essere determinante. Questi dati, se confermati, possono rivelarsi dei buoni spunti per stimolare l’attività economica nelle città.

Di contro, le aree dove la concentrazione di innovazione è minore vi è uno svantaggio competitivo che deve essere colmato con l’aiuto di un intervento dei pianificatori.

L’Unione Europea, conscia delle differenze che esistono all’interno della propria comunità, ha deciso di affrontare questa problematica adottando una strategia chiamata ‘smart specialization’. L’obbiettivo dichiarato è di costruire nuove attività innovative basandosi sui punti di forza già esistenti delle regioni. Seppur abbia una buona logica, questa strategia limita l’abilità delle regioni di assorbire conoscenza da altre aree per creare esternalità positive nel proprio territorio.


Guarda il video per saperne di più!


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